Il CIDECI si trova nella periferia a pochi minuti di taxi dal centro di San Cristóbal, solo che in questi giorni il CIDECI sovverte la dicotomia centro-periferia, è la periferia a essere centrale, a essere il luogo verso cui tutto tende, a cui tutto si riferisce, in cui tutto succede. Pochi minuti per allontanarsi dalla cittadina coloniale ed entrare nella realtà Zapatista e a occhi nuovi sembra tutto fuorché il pianeta terra da cui dicono che i loro comunicati provengano.
Oggi, lunedì 26 dicembre, è iniziato il festival Las Zapatistas y la ConCiencias por la Humanidad. Ad auditorium pieno, a entrare per prime sono le donne zapatiste, seguite dal resto della della delegazione e poi, per ultima, la comandancia. Il festival è aperto dal subcomandante Moisés.
Nel suo discorso ricorda la ricorrenza del ventisettesimo mese dalla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa. Comincia anche a dare il tono della giornata e del festival, introducendo l’argomento per cui le scienze possono essere umane e per l’umano oppure distruttive e al soldo del capitalismo e della colonialismo. Dopo un’ora di attesa per permettere a tutti e a tutte i/le partecipanti di registrarsi, a prendere la parola è il subcomandante Galeano, che pone diverse domande agli scienziati e alle scienze. Galeano sottolinea che è arrivato il momento che le popolazioni originarie abbiano accesso alle conoscenze scientifiche, le scienze della vita contro quelle della morte, come dire, le scienze utili per conoscere, capire e cambiare il mondo, contro quelle convertite dal capitale per i suoi scopi di accumulazione e arricchimento.
Sul blog potrete trovare i due interventi completi, noi continuiamo con il racconto delle nostre impressioni di questa prima giornata.
La storia umana è la storia dei desideri desiderati, qui, tra gli edifici colorati del CIDECI, con voci prima sentite solo da lontano, sembra di trovarsi in una realtà parallela in cui i desideri umani, quindi tutti quei desideri che vanno oltre la sopravvivenza, si possono costruire e sono stati costruiti. Sui porticati delle case e dei laboratori del centro si susseguono in ordine sparso bancarelle di libri, di stampe e di maglioni e si mescolano attivisti da tutto il mondo, donne con vestiti coloratissimi e passamontagna neri come la pece, la schiva Comandancia che si muove veloce e fuggevole per il centro e indigeni che preparano tamales e arroz con leche. Gli zapatisti e i miliziani camminano in giro per le strade durante le pause come tutti gli altri partecipanti, dopotutto, loro stessi hanno affermato che anche loro sono qui come studenti.
Solo che a guardarli sembra di vedere doppio, loro e i loro ritratti che dominano la maggioranza dei murales sulle pareti delle sale e dei muri. Quando gli incontri riprendono, dopo aver ammirato la sfilata d’entrata di rito degli zapatisti, tutti tornano alle proprie sedie, da cui quasi nessuno, eccetto la prima fila, riesce a vedere il palco. Però si sente forte e chiaro.
Se le domande di Galeano sono state politiche, provocatorie e mirate, quanto chiare, semplici e popolari, non è che i sei interventi dei sei professori del giorno corrispondano o rispondano esattamente alle questioni. In tutti gli interventi, però, emerge che solo una riappropriazione dal basso, indigena, femminile contro la predominanza maschile in campo scientifico, può strappare la scienza dal “mal-uso” capitalista, che distrugge e piega la Madre Terra, dove vivono i popoli indigeni, invece di perseguire l’obbiettivo originario di comprenderla. Riappropriazione, non appropriazione, perché tutti i popoli presentano una curiosità scientifica, una volontà di scoperta senza tempo. Dopotutto, basta guardare il palco per far cadere lo stereotipo di popoli indigeni senza scienza e tecnologia, gli zapatisti sono i primi a fare video e foto con un tablet bianco di una marca imprecisata. Dalle varie presentazioni emerge anche che la scienza è stata legata forzatamente alla produzione e allo sviluppo produttivo e il termine “innovazione” si è trasformato, diventando ingresso di un nuovo processo, metodo o prodotto nel mercato, mentre in passato significava cambiamento e ribellione. Scienza e tecnologia non sono colpevoli nella loro declinazione coloniale e capitalista, sono, anzi, potenziali strumenti di liberazione e di creazione di un mondo nuovo, salvando cosi anche la Madre Terra.
La giornata va avanti, con quelle due ore bonus di ritardo, inframmezzata da pause colorate, cambi di batteria della telecamera, tazze di caffè messicano (annacquato) e interventi a volte politicamente interessanti a volte un po’ troppo tecnici, che ti sembra di essere capitato in una facoltà di microbiologia popolata da black bloc. Poi ti passano a fianco miliziane con lunghi capelli lisci raccolti in una coda e orecchini ad anello dorati e quell’immagine non ti lascia più per una decina di minuti. A pranzo ci rapisce una donna indigena che ci intrattiene con racconti che spaziano dallo sfruttamento e dalle violenze a donne che si trasformano in animali. Come gli interventi di Galeano, questa prima giornata ha mischiato serietà e ironia, fiabe e realtà, politico e umano. Infine, se gli zapatisti hanno dichiarato che si stanno preparando ad apprendere, noi non possiamo che non discostarci da questa tendenza e dirci pronti a questi giorni. 26 dicembre, Ore: troppo tardi, San Cristóbal de Las Casas, qualsiasi pianeta ma non è possibile che questo sia il pianeta Terra.