Arrivare in Chiapas il 22 di dicembre ha un gusto agro-dolce. La morte di Joe Strummer del 2002 sicuramente dà un peso alla data che però è segnata in maniera irreversibile dal massacro di Acteal: 45 morti, uomini, donne e bambini. Una ferocia difficile da descrivere, ma l’immagine delle donne incinte uccise a cui poi è stato aperto lo stomaco per ammazzare anche il feto che tenevano in grembo dà il perimetro dell’accanimento dei paramilitari.
Chi ci legge probabilmente saprà già tanto, se non tutto, su quella tragica serata di 19 anni fa.
Il fatto di cronaca si mescola con la trasformazione del conflitto contro gli Zapatisti, dall’opposizione militare a quella paramilitare.
Acteal per di più non era, e non è tutt’ora, comunità Zapatista, ma Las Abejas. I Las Abejas sono un’organizzazione non violenta e antiglobalizzazione, la distanza tra loro e gli Zapatisti è data dall’uso delle armi concepito dai secondi. Tra le due organizzazioni ci sono sempre state vicinanze, rapporti, compromissioni.
La scelta di colpire i Las Abejas e non gli Zapatisti non fu casuale, fu il tentativo di spezzare assi di solidarietà, creare paura in chi appoggiava EZLN oltre che dare un segnale diretto agli stessi zapatisti. Il massacro generò il fenomeno dei “desplazados”, migliaia di persone lasciarono Acteal e le comunità nelle vicinanze e si rifugiarono nella comunità zapatista di San Pedro Polhó.
Lentamente le famiglie ad Acteal sono tornate, 19 anni dopo non esiste giustizia per quel massacro.
La drammaticità di quell’evento segna un passaggio di consegna dall’esercito ai paramilitari, non solo dal punto di vista simbolico ma anche fattuale. Infatti nella notte del 22 dicembre 1997 corpi militari lasciano passare indisturbati i mezzi su cui viaggiavano i paramilitari che sono entrati in azione ad Acteal.
19 anni dopo non solo non esiste giustizia, ma il governo messicano si appresta ad approvare la modifica costituzione dell’articolo 29. In molti chiamano questo provvedimento Ley Golpista. L’articolo 29 è quello che regola lo stato d’eccezione e di sospensione dei diritti umani. La chiamano Ley Golpista perché permetterebbe di trasformare l’esercito in soggetto utilizzato per operazioni di ordine pubblico. Il presidente della Repubblica può chiedere che il parlamento decida la sospensione o la restrizione delle garanzie di rispetto dei diritti umani (già ora), ma, con la riforma, darebbe mandato all’esecutivo militare di gestire in prima persona e senza limiti di tempo emergenze e/o minacce per la pace e l’ordine sociale. Non solo invasioni straniere, ma anche i conflitti sociali. Infatti l’articolo 2 della riforma dice che la sospensione dei diritti umani avverrà nel caso di “invasioni, grave perturbazione della pace pubblica e tutto ciò che ponga in grave pericolo o conflitto la società” Se l’invasione o i gravi casi di messa in discussione della pace sono considerabili come oggettivi, la locuzione “ tutto ciò che ponga in grave pericolo o conflitto la società” lascia ampi spazi interpretativi e facilmente si potrebbe applicare ai conflitti sociali. L’articolo 5 della riforma dice che i diritti umani possono essere sospesi se rappresentano un ostacolo alla risoluzione delle problematiche in corso. Per il governo messicano i diritti umani sono possibilmente un ostacolo per riportare la pace nel paese, questo dà la misura dei governanti. Nel 2018 si ricorderanno i 50 anni dal massacro di piazza delle tre culture, e da quel 2 ottobre del 1968 ad oggi sono troppi i massacri marchiati esercito nel paese per poter pensare che l’intervento militare possa essere un elemento per portare la pace.
Già nel sessennio di Calderón l’esercito è stato utilizzato in lungo ed in largo nella cosiddetta “guerra al narcotraffico”. Il risultato sono stati 125mila morti e migliaia de desaparecidos. Peña Nieto, per mano del segretario della difesa Salvador Cienfuegos con un colpo al cerchio, dice alle forze militari di tornare nelle proprie basi e con un colpo alla botte prova a fare una legge che dà più forza, oltre che protezione costituzionale, all’esercito formalizzando lo stato d’eccezione in cui il Messico si trova da almeno 10 anni.
19 anni dopo Acteal, pensare che in Messico il dibattito politico giri attorno alla riforma dell’articolo 29 della costituzione, alla limitazione dei diritti umani, e a dare maggiori poteri all’esercito, oltre che maggiore impunità, non può che regalare un brivido freddo lungo il corpo.