Diverse migliaia di persone hanno invaso lo Zocalo di Città Del Messico al termine di quattro marce che simultaneamente hanno attraversato la capitale del Messico dalle prime ore della mattina.
Sicuramente la manifestazione, o come è stata chiamata la megamarcha, più importante tra le oltre 70 iniziative che hanno preso parola e azione per l’ottava giornata globale di mobilitazione per i 43 studenti di Ayotzinapa.
Dall’Australia all’Europa volantinaggi e azioni ai consolati e ambasciate, tra presidi e cortei a quattro mesi dal sequestro di 43 studenti e l’omicidio di altri 6, della scuola Normale Rurale di Ayotzinapa il mondo ed il Messico soprattutto non si ferma e continua a lottare.
Il primo dato molto importante è quello numerico, nuovamente in piazza si sono visti numeri importanti. Decine di migliaia di persone a Città del Messico, Zocalo non pienissimo, ma lo Zocalo è anche la più grande piazza di tutta l’America Latina, altre migliaia in altre piazze del paese. Raccontare quello che è successo stando dall’altra parte dell’oceano è meno affascinante, ma tra twitt post facebook e la visione in diretta dell’atto finale del corteo la forza di questa lotta si può comunque percepire. “Da oggi dobbiamo fare altro rispetto a marciare” tuonano gli Ayotzinapos dal palco dello Zocalo. Gela il sangue a sapere e ricordare le azioni e le iniziative che nel Guerrero studenti e padri di famiglia stanno organizzando da quattro mesi. Se pensiamo solo che un paio di settimane fa, lunedì 12 gennaio, la mobilitazione per la ricerca dei 43 studenti ha portato centinaia di corpi e persone a sfondare i cancelli del 27esismo battaglione di Fanteria di Iguala con un camion della Coca Cola. A quel punto ci sono stati 50 minuti si corpo a corpo con polizia ed esercito. La settimana dopo alla notizia di scarcerazione dell’ex sindaco di Iguala, con l’assurda motivazione che essendo passato tanto tempo gli studenti potrebbero essere morti quindi non si può inquisire nessuno per sequestro di persona, centinaia di studenti nella capitale del Guerrero hanno manifestato, non solo a parole, la loro rabbia. “Da oggi dobbiamo fare altro rispetto a marciare”. E intanto nel mondo succedevano tante cose, tra cui un azione al Consolato Messicano di Milano. I muri d’ingresso della rappresentanza politica sono stati riempiti dalla scritta “nos faltan 43” e “Fue el estado”.
Narco-governo è come viene chiamato il governo Pena Nieto. L’evoluzione della “guerra al narco-traffico” iniziata nel 2006 con il precedente presidente della repubblica Felipe Calderon. Una guerra utile per creare nuovi dispositivi di controllo sociale e capace di saldare i rapporti tra politica e crimine organizzato. Il caso Ayotzinapa è l’emblema di questa saldatura. Quella notte, la notte tra il 26 e 27 settembre, membri delle bande del narco-traffico unite con la polizia locale e membri dell’esercito messicano hanno ucciso e sequestrato studenti della scuola Normale di Ayotzinapa (e non solo). L’ex sindaco di Iguala si è scoperto essere legato ai gruppi del crimine organizzato. Una recente inchiesta nel paese ha portato alla luce che 7 politici su 10 vengono eletti grazie ai voti dei narcos. La politica,in tutti i suoi livelli, con i silenzi e le falsità prodotte, cerca di coprire qualcosa e qualcuno, forse se stessa. Perchè Pena Nieto sta pagando politicamente tutto il peso del caso Ayotzinapa?
Il Messico sta vivendo la più profonda e ampia crisi politica del nuovo secolo generata dalla nascita del più ampio e diffuso movimento sociale che il paese vede dal 1994, cioè dall’irruzione zapatista.
Il 12 di gennaio del 1994 un corteo di centinaia di migliaia di persone obbligava il governo Messicano al cessate il fuoco contro gli zapatisti. 21 anni dopo i combattenti di Ayotzinapa entravano in una base militare e si fronteggiavano con l’esercito e pochi giorni dopo un corteo immenso riempiva lo Zocalo. Un interessante coazione a ripete che racconta come il Messico sia un paese capace di capire e difendere rivolte e rivoluzioni. Un paese capace di esprimere il dissenso non solo a parole. Certo non possiamo non raccontare di come i giornali messicani e parte del mondo politico “istituzionale” demonizzi il “black bloc”, però la moltitudine che riempie le strade reagisce in maniera diversa. Il concetto di “autonomia” e “indipendenza” nel paese è un concetto diffuso e praticato, l’opinione dell’istituzione non è così pervasiva come nel nostro paese. Forse saranno i venti di una rivoluzione che per quanto lontana vive ancora nelle menti delle persone. Farà ridere ma per il centenario della rivoluzione le monete commemorative fatte dallo stato messicano riportavano i volti di Zapata e Ricardo Flores Magon tra gli altri. Ci pensate in Italia una moneta con i volti di rivoluzionari o teorici anarchici?
Le mille contraddizioni di un paese magnifico e unico come il Messico sono un numero che difficilmente si può contare e sono talmente radicate che difficilmente si possono spiegare con poche parole. La rivoluzione e l’autonomia convivono in equilibri pazzeschi con uno dei laboratori neoliberali più grandi del mondo e il rapporto tra crimine organizzato e il potere politico e militare più esplicito che si possa vedere, almeno credo.
In questo scenario pazzo le lotte sociali preparano il terreno per un nuovo sogno messicano. Questa non è ne una certezza ne una speranza, è una prospettiva. In un paese, perchè stato-nazione primo grande parto del capitalismo oramai è un concetto prossimo all’essere superato, che si è abituato ad avere uno strappo col potere costituito ogni 100 anni (nel 1810 la guerra d’indipendenza e nel 1910 la rivoluzione di Villa e Zapata) il tempo è maturo affinchè le grandi lotte presenti nel paese sfornino chissà cos’altro di geniale.