Di Andrea Cegna
Il quinto Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di “nominare un consiglio indigeno di governo la cui parola sia incarnata da una donna indigena, delegata del CNI come candidata indipendente che partecipi a nome del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel processo elettorale dell’anno 2018 per la presidenza di questo paese.”
Sono le parole con cui EZLN e CNI hanno chiuso il loro congresso. Una notizia tanto forte e “assurda”, come l’ha definita lo stesso Subcomandante Galeano (ex Marcos), da contenerne due: la prima, semplice è la dichiarazione di partecipare al processo elettorale, la seconda è la scelta dell’EZLN di tornare a “dialogare” con la politica istituzionale.
Una proposta forte, e spiazzante che merita un pò di tempo e di spazio per entrarne nel merito.
A gradi crescenti, dal 2001 in poi ovvero dopo il tradimento governativo legato alla Ley CoCoPa, gli zapatisti si sono concentrati sulla costruzione della loro autonomia, la perimetrazione del loro territorio, la resistenza contro le aggressioni militari e paramilitari. Ma è nel 2005 con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed il lancio della Otra Campana che la distanza tra lotta zapatista e istituzioni si allarga. Si può leggere “Non vi chiederemo neppure di votare per un candidato, tanto sappiamo che quelli che ci sono, sono neoliberisti. Non vi diremo neppure di fare come noi, né che ci si sollevi in armi. E poi “Non fare accordi dall’alto per imporli in basso, ma fare accordi per andare insieme ad ascoltare e organizzare l’indignazione; non creare movimenti che siano poi gestiti alle spalle di chi li fa, ma prendere sempre in considerazione l’opinione di chi vi partecipa; non cercare regali, posizioni, vantaggi, impieghi pubblici, di Potere o di chi aspira al potere, ma andare molto più lontano delle scadenze elettorali; non tentare di risolvere dall’alto i problemi della nostra Nazione, ma costruire DAL BASSO E PER IL BASSO un’alternativa alla distruzione neoliberista, un’alternativa di sinistra per il Messico”. In questo solco il PRD di Andres Manuel Lopez Obrador ha dato la colpa al posizionamento dell’EZLN per la loro sconfitta alle elezioni nel 2006.
Gli Zapatisti hanno spesso “sfruttato” il palcoscenico elettorale: con la otra campana hanno usato quello spazio standone all’esterno, nel 1995 era tra i sostenitori di Amado Avendano Figueroa come governatore dello stato del Chiapas, nel 2000 hanno affrontato la sfida che la sconfitta del PRI aveva generato l’apertura di Fox di riprendere in mano la legge COCOPA. Non è una novità. Stavolta han deciso di prendersi lo spazio politico della campagna elettorale per parlare dei diversi punti che stanno a cuore a CNI e EZLN. Nel Messico della crisi di Pena Nieto e dei partiti il palcoscenico elettorale la campagna elettorale è spazio di visibilità. Va ricordato che la lotta zapatista, così come le problematiche indigene, vengono negate dai media del paese. La loro presenza alle elezioni potrebbe obbligare i media a dare spazi inusuali. Nulla è certo. E’ certo che negli ultimi due giorni questa proposta spiazzante ha trovato molto spazio, e costretto Andres Manuel Lopez Obrador, il vescovo di San Cristobal e altri soggetti culturali e politici a prendere posizione.
La Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona resta ed è il riferimento politico dell’EZLN. Al netto delle scelte, al netto dei comunicati e dell’attacco alla subalternità del potere politico a quello economico, gli zapatisti non hanno mai escluso l’opzione elettorale. Semplicemente se ne sono tenuti alla larga. Quindi se pur la decisione è sorprendente e apparentemente in discontinuità con il breve passato non è incoerente.
E’ una fase particolare della storia del latino america: FARC ed ELN in Colombia trattano con il governo, Cuba e USA dialogano, Maduro non è Chavez, in Argentina, Brasile, Bolivia ed Uruguay il sogno del cambiamento operato da governi “progressisti” si è scontrato con la violenza del capitalismo. Questo, forse, ha operato un ragionamento e una necessità di capire “che fare”.
Nel documento finale c’è un passaggio importante che inserisce la “candidatura” in un contesto molto più ampio “Ratifichiamo che la nostra lotta non è per il potere, non lo cerchiamo, bensì che chiameremo i popoli originari e la società civile a organizzarsi per bloccare questa distruzione”.
A ciò va aggiunto, un particolare non da poco: la decisione è maturata dentro al contesto del Congresso Nazionale Indigeno, soggetto politico composito di cui la radicalità non è il dato costituente e tanto meno la pulsione rivoluzionaria. La “sesta” è stata l’ultima proposta politica verso l’esterno dell’EZLN. 10 anni forse qualcosa doveva essere rimesso in campo per provare a continuare a vivere ed esistere. L’avvicinamento al CNI degli ultimi anni ha dato una direzione più indigenista e quindi un occhio di riguardo in più alle necessitò all’interno dei confini nazionali. Il soggetto centrale è l’indigeno, le sue necessità e modalità di vita immediatamente anti-capitaliste. La somma delle due questione ha generato la proposta “assurda” con cui il Congresso Nazionale Indigeno ha chiuso la sua quinta edizione. Una proposta che pare dettata da motivi tattici/strategici, prima che politici, come spiegato prima con la “visibilità” mediatica. Non possiamo non ricordare che, dall’omicidio di Galeano in poi, in una grande parte dei territori zapatisti la violenza di gruppi filo governativi sia salita di quantità e qualità. Le popolazioni indigene del Messico da anni resistono a progetti di marca neoliberista ma non sono mai stati considerati realmente soggetti elettorali: nella maggior parte dei casi indigeni ed indigene non hanno documenti e non sono iscritti alle liste elettorali. E nemmeno sono stati aperti i seggi per votare. Le reti del CNI potrebbero operare una trasformazione? Nel processo di “dignitizzazione” del soggetto “indigeno” rompere questa stilema è non solo centrale ma anche parte di un processo di autonomia. La candidatura, per di più di una donna, mette al centro il modello del descrimanto messicano. Provocazione. Forte e potente. Detto ciò resta evidente come la scelta è coerente e allo stesso tempo complessa, aprendo porte a dubbi e critiche, e grazie alla sua assoluta inaspettattività porta il piano della resistenza a quello del contrattacco nella certezza che a volte il percorso anche se giusto non dà altre scelte se non quella di stupire, cambiare, meravigliare con proposte “assurde”.