il cassetto di metallo cigola un poco prima di spalancarsi fragorosamente. Lo richiudo un paio di volte prima di rinunciare del tutto e comunque è tutto l’aereo (dimensioni, passeggeri, odori) a non somigliare per nulla ai due che ci hanno accompagnato fino a Ciudad Mexico.
Mi hanno spiegato che la piana di Ciudad è in realtà una conca e che il tutto si poggia su un altipiano abnorme..la morale è che la cappa d’inquinamento che abbraccia la città le dona una luce improbabile ma l’altezza la libera dal tappeto di nuvole che ricopre tutta la regione sottostante. I confini della metropoli, segnati da grandi strade statali, sono assolutamente netti, regolari e inverosimili. All’interno vie ortogonali che organizzano quartieri poco o riccamente intonacati, all’esterno campi paludosi. Poi, per l’appunto, solo nubi su cui svetta Popo, il vulcano intendo.
L’aereoporto di Tuxtla Gutierrez, la capitale amministrativa del Chiapas, ha proporzioni da aeromodellismo e ci prende davvero il senso di essere fuori dalla fase del transito. Radio mix e i suoi successi (non solo reggaeton, qui si corre al ritmo di Hello, di M.Solveig) accompagnano l’auto su per la lunga via verso San Cristobal. Ogni tre minuti l’autista tocca la croce bianca che balla sotto il retrovisore..diciamo una ventina di volte in tutto, fate voi il conto. Una famiglia di falchi segue la scena dalla nebbia che man mano avvolge tutto come orzata..e qui i più intimi tra i lettori capiranno quanto sia scarso il mio desiderio di “umidità”. Poi sibalza il vento e il temporale minacciato lascia il posto al primo vero sole. Murales di politici e parrucchieri, murales di prodotti per il corpo e lavori pubblici. Murales colorati. Murales scrostati. Benvenuti a San Cristobal De Las Casas.