Autonomia e Confederalismo Democratico: le nuove rivoluzioni possibili

Dal sudest della Turchia, o dal nord della Siria, al sudest del Messico la distanza è molto meno ampia di quello che racconta la geografia dei chilometri e dei confini.

Da una parte l’esperienza dell’autonomia Zapatista, dall’altra il confederalismo democratico. Concetti diversi ma a tratti simili, reali pratiche di alternative al capitalismo e all’idea stessa di dominio nella società.

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Che storie profondamente diverse maturino tratti simili forse è un caso, forse no. Rende ancora più evidente come i movimenti sociali funzionino in un dato tempo e in un dato spazio. Diventano vincenti quando sanno affrontare allo stesso tempo complessità locali e globali. La coazione a ripetere non è funzionale: le esperienze non si possono clonare, trasportare o replicare. Possono essere però un buon esempio.

Nel tracciato delle linee di contatto e di distanza la prima similitudine macroscopica è quella dell’ideologia e della sua trasformazione radicale.

PKK ed EZLN nascono entrambi nel solco della tradizione marxista-leninista. Quando l’esercito Zapatista è entrato nella storia delle rivoluzioni e del pianeta aveva già masticato e digerito il superamento della tradizione guerrigliera latinoamericana, trovando una formula eterodossa capace di tenere assieme la cosmogonia indigena, il ’68 messicano, lo Zapatismo storico della rivoluzione del 1910 e l’idea tradizionale di guerriglia.

Il PKK nasce come partito il 27 novembre del 1978 e nel 1984, dopo il golpe militare in Turchia, sceglie la via della lotta armata nell’ottica di riunire il popolo curdo in un unico stato. La trasformazione teorica del pensiero del PKK, tramite le elaborazioni teoriche di Ocalan, è più recente; ha subìto una grande accelerazione a inizio millennio , ma già verso la fine degli anni ’90 inizia l’elaborazione e la trasformazione ideologica, dovuta anche all’incontro e allo scambio epistolare tra il leader del PKK e il liberatario Bookchin.

Il superamento dello stato-nazione e quindi della presa del potere, in senso stretto, è uno dei risultati dell’elaborazione teorica di entrambi i movimenti, nati nel solco di una tradizione politica e culturale finalizzata al governo di un paese.

Lo stato nazione e la presa del potere vengono sostituti con l’idea di autonomia, che non riconosce i confini geografici.

Autonomia significa autogovernare. Inventare una forma di governo propria, cambiare le relazioni sociali esistenti, costruire un’alternativa concreta. Dal basso e in maniera collettiva. Governare senza bisogno di confini e stati.

Zapatismo e confederalismo democratico non mettono in discussione solo lo stato nazione, ma l’idea stessa di società imposta dal sistema dominante. L’emancipazione della donna e l’abbattimento del patriarcato, l’amministrazione territoriale, l’educazione e il concetto di autodifesa sono elementi che tornano in entrambe le esperienze, a volte con tratti di somiglianza, a volte no.

Nello stesso concetto dell’autonomia è scritto che le similitudini non sono aderenze. I territori, le culture, le colture e le relazioni sociali sono differenti, sia come dato di partenza sia come prospettiva finale, perchè nascono in luoghi diversi e in diverse condizioni. La storia dell’EZLN è legata al mondo indigeno e campesino, mentre la storia del popolo curdo e del PKK si muove tra dimensione rurale e urbana.

Nell’immaginario collettivo l’aspetto più suggestivo di entrambi i movimenti è sicuramente legato alle donne combattenti. Le comandanti YPJ in Rojava, o le miliziane zapatiste con il passamontagna sono tra i simboli più forti e “mainstream” delle due rivoluzioni. Dietro al “romanticismo mediatico” delle donne guerrigliere però c’è molto di più: ci sono percorsi politici e di emancipazione che vanno dall’appropriarsi del diritto di scegliere se e con chi sposarsi ad entrare a pieno titolo in ogni processo decisionale e di responsabilità. La tradizione curda – così come quella campesina messicana – è legata al patriarcato. Rompere questa tradizione è già inizio di una rivoluzione. Non esiste movimento rivoluzionario nella storia che non abbia visto una “trasformazione interna” prima che esterna; non esiste rivoluzione quindi che agisca un cambiamento radicale senza aver creato nel soggetto rivoluzionario le condizioni e l’esempio del cambiamento. A volte si sorride pensando che un risultato dell’emancipazione della donna possa essere la libertà di scegliere se diventare madre. Ma mentre si sorride con amarezza ci si dovrebbe chiedere se nella nostra società l’emancipazione della donna sia arrivata realmente a conclusione.

L’idea dell’autodifesa, di per sé semplice da concepire, nasconde un’elaborazione teorica importante. La più semplice definizione di “autodifesa” sarebbe “Difesa personale da atti di aggressione”. L’EZLN nasce come guerriglia; il PKK diventa ben presto un partito fuorilegge e si dedica alla lotta armata. Sia la lotta armata che la guerriglia si basano principalmente sull’idea di offensiva.

PKK ed EZLN ribaltato il piano, lasciano l’offensiva e organizzano la difesa. I gruppi armati proteggono il progetto politico e sociale dell’autonomia, difendono il territorio dall’offensiva nemica, resistono agli attacchi esterni. Può sembrare banale, ma questa scelta sottende un cambio di paradigma nell’uso delle armi e della violenza. Non si conquista una città per nominare l’autonomia, ma al contrario laddove viene proclamata l’autonomia si attivano i gruppi dell’autodifesa: è un processo inverso, che parte dal basso.

L’EZLN subisce da anni una guerra sporca o di bassa intensità. Il PKK, ad ondate, una guerra vera e propria.

L’autonomia in città è la grande potenza del confederalismo democratico, ed è anche la grande differenza con lo zapatismo. L’EZLN è movimento ed esperienza prettamente indigena e campesina. Non si estende in città, e si basa sul diritto delle comunità rurali messicane di vivere secondo i propri usi e tradizioni: nell’epoca della globalizzazione neoliberista è forma di resistenza e di protezione del territorio dall’estrazione di risorse in chiave speculativa oltre che dallo sfruttamento delle vite animali e umane.

L’esperienza curda invece si vive all’interno della città. Che sia Kobane o Qamislo in Siria, Cizre o Diaybakir in Turchia. Certamente l’amministrazione delle città liberate in Siria o delle aree liberate in Turchia è molto differente perchè diversa è la situazione materiale: Essenzialmente in Siria il confederalismo democratico non si scontra con la presenza di uno “stato”, mentre in Turchia lo “Stato” è presente ed è controparte.

L’autogestione completa della società è il tratto unificante. Nel sudest Messicano, nel sudest Turco o nel nord della Siria, zapatismo e confederalismo democratico fanno una cosa apparentemente semplice: esigono una diversa società creandola e amministrandola. Non cambiano l’esistente, inventano ciò di cui hanno bisogno per vivere. Scuola, sanità, giustizia, amministrazione del territorio, non vengono delegate al governo: dipendono direttamente dalla persone che vivono l’area, la città, la comunità e/o il territorio. Il benessere collettivo – nel rispetto delle differenze, delle soggettività, e dell’ambiente – è un valore guida.

Tutto questo avviene contesti di guerra. L’autonomia curda subisce gli attacchi dello stato Turco e dell’ISIS, quella zapatista l’offensiva del governo messicano. Guerre dirette, guerre a bassa intensità, conflitti tra comunità o cittadini creati a tavolino, narrazioni mediatiche distorte sono la normalità in cui le due rivoluzioni si trovano a vivere.

In qualche modo, curdi e zapatisti ridisegnano anche l’idea stessa di rivoluzione. Non parlano di potere, confini, e nazioni. Non parlano di sostituirsi a chi governa. Le due rivoluzioni parlano di un cambio paradigmatico nei modelli di società e di relazioni umane. Ridisegnano nuovamente il concetto di rivoluzione, come tante altre volte è capitato nella storia. Il mondo è cambiato, il capitalismo è cambiato, e come si vede con sempre più evidenza la sua influenza va molto oltre alla gestione del potere politico degli stati. Zapatismo e confederalismo senza agire nello stato per lo stato delineano quindi il nuovo tracciato delle rivoluzioni possibili e reali.