Solo qualche nuvola bianca rompe l’azzurro del cielo sopra i tetti delle case di San Cristóbal. E’ mattina e come sempre ci si sveglia presto. Doccia, denti che si lavano di corsa, slalom tra scarpe, divani, e persone. Il nostro ostello è oltre l’over-booking, alcuni dormono a terra e sui materassi gonfiabili. La colazione è una chimera, la coda per il bagno una certezza.
Il terzo giorno del festival sulle scienze per l’umanità avrà inizio alle 10.00 del mattino, minuto più, minuto meno. I taxi e i combi si affollano tra calle Italia e calle Japón.
L’auditorium del Cideci è il punto d’inizio e di fine di ogni giornata, le sessioni plenarie vedono, nel mentre, due momenti giornalieri di divulgazione scientifica dove 200 incappuciati/e zapatisti riempiono gli scienziati di domande esistenziali. Gli alunni e le alunne zapatiste ascoltano e prendono appunti scegliendo per due volte al giorno fra tre possibili temi. Nella sala grande, del Cideci, non del Palace Hotel – qui da queste parti non si parla della morte della Fisher e, conseguentemente, i Blues Brothers (con Star Wars, che non me ne vogliano i lettori, sta un gradino sotto) non sono un riferimento culturale, si alternano, prima della chiusura a due voci Moisés-Galeano (che per un giorno lascia il ruolo di alchimista critico), Elfego Ruiz Gutiérrez, il Dr. Igor Valencia Sánchez, il Dr. Jaime del Sagrado Corazón Morales Hernández, il Dr. Carlos Román Zúñiga, un brillantissimo Dr. Yuri Nahmad Molinari che nel suo intervento intitolato “Vizi e benefici della riforma enegetica in Messico” spazia tra scienza e politica intersecandole sapientemente, e l’ottima Dott.ssa. Gabriela Piccinelli Bocchi, che dopo aver detto di essere emozionata, oltre che aderente alla “Sexta”, lascia da parte la scienza e si dedica a valutazioni politiche e narrativa del mondo universitario.
Se 4 sessioni giornaliere di scienza e politica sembravano poco, da domani arriva anche l’incontro del Congresso Nazionale Indigeno: sarà messa in discussione “l’assurda proposta” Zapatista di candidare una donna indigena (non zapatista) come presidentessa del Messico alle elezioni del 2018, in maniera autonoma.
Come direbbero, in altre geografie e calendari, i Rancid “See ya in ta pit”, cioè come dire continuate a seguirci, che qualche sorpresa o notizia di cronaca arriverà, e magari ve la raccontiamo guardandola da una direzione un pò diversa da quella che i grandi media cercheranno o saranno in caso di vedere. Il razzismo e il pregiudizio sull’autonomia indigena, e sui mondi che non si conoscono davvero, spazia da destra a sinistra nel mondo delle istituzioni, troppo abituate a non guardare il cielo, il sogno, il cambiamento e la luce della trasformazione e dell’alternativa strutturale. Il mondo, solo 30 anni fa, non era uguale ad oggi, non pensiamo nemmeno cos’era 100 anni fa. Il solco del cambiare tutto per non cambiare nulla non piace agli aratri delle popolazioni originarie chiapaneche, che tra un film di Bruce Lee, un festival di arti e una conferenza di scienza critica, rompono il paradigma dell’esclusione sociale guardando in alto nel cielo, oltre le poche nuvole bianche che rompono la monotonia azzurra ma non coprono il sogno del sol dell’avvenire.