di: 10 novembre @ 11.30 Federico Mastrogiovanni
Democrazia. La versione ufficiale non convince: mancano le prove scientifiche che i corpi ritrovati siano quelli dei ragazzi uccisi. “E ogni testimonianza fa pensare a un’azione dell’esercito”, spiega un ex ufficiale ed esperto di intelligence. Inoltre i servizi segreti militari non potevano non essere informati.
La porta in fiamme a Città del Messico
Città del Messico – L’immagine più forte delle molte manifestazioni di protesta che hanno riempito le strade del Messico nelle ultime settimane è la porta in fiamme del Palazzo Nazionale nella piazza del Zócalo di Città del Messico. Poco importa se il fuoco è durato solo pochi secondi, subito spento dai pompieri. Si protesta contro il governo federale per il massacro di sei persone e la sparizione forzata di 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa, avvenuti nel municipio di Iguala, stato di Guerrero, il 26 e 27 settembre scorsi. Il Messico si mobilita per opporsi a una violenza che da anni affligge il paese, con più di 100mila morti e più di 30mila desaparecidos dal 2006 a oggi.
Nel pomeriggio del 7 novembre scorso in conferenza stampa il Procuratore Generale della Repubblica, Jesús Murillo Karam ha dato l’annuncio che si stava aspettando da molti giorni. Secondo la versione ufficiale, ricavata dalle confessioni di tre presunti sicari, i 43 studenti normalistas di Ayotzinapa, sarebbero stati consegnati dagli agenti della polizia municipale di Iguala al gruppo criminale dei Guerreros Unidos. Questi li avrebbero uccisi, fatti a pezzi, bruciati in abbondante benzina per 15 ore e buttato i loro resti in una discarica nella località di Cocula, a pochi chilometri da Iguala. Senza che nessuno se ne accorgesse.
La versione ufficiale
Per questo motivo, secondo il procuratore, dopo più di un mese di investigazione, sarebbe impossibile affermare con certezza che quei pezzetti di osso e di denti calcinati siano ciò che resta dei 43 giovani desaparecidos. Nonostante questo il responsabile della PGR si è esposto e ha reso pubblica parte dell’indagine in corso, dove si indica che i resti potrebbero appartenere ai normalisti. Murillo Karam non ha mai affermato che si tratta dei ragazzi, ha usato il condizionale, ma la stampa messicana e internazionale ha trascritto e diffuso la notizia come se fosse un fatto, che poi era proprio l’obiettivo del governo messicano.
L’Ong Tlachinollan, che rappresenta i familiari dei 43 studenti, in un comunicato datato 9 novembre afferma che i ritrovamenti non sono credibili e devono essere avallati da periti argentini. I genitori sarebbero disposti ad accettare risultati se vi fossero prove irrefutabili, che a oggi non ci sono. Il governo, sventolando quei cadaveri sconosciuti davanti ai media gioca con la situazione dolorosa dei familiari dei desaparecidos.
L’affermazione più decisa del rappresentante della Procura è la totale estraneità dello Stato nel caso di sparizione forzata ed esecuzione extragiudiziale dei 43 giovani: “Iguala non è lo Stato messicano” ha affermato con stizza Murillo Karam alle telecamere, insistendo sul fatto che non c’è responsabilità della catena di comando, a parte l’ovvia partecipazione della polizia municipale e del sindaco di Iguala, José Luis Abarca e sua moglie María de los Ángeles Pineda, arrestati come unici mandanti il 4 novembre a Città del Messico. Sopra di loro nessuno.
Quello che non torna
Non è però della stessa opinione il generale di brigata dell’Esercito messicano, José Francisco Gallardo, ex prigioniero politico e difensore dei diritti umani: “Da quando è successo il fattaccio io ho subito detto: questo è stato l’esercito, hanno usato una tattica militare”.
Il generale non ha dubbi perché ha parlato con testimoni oculari: “Ho parlato con alcune persone il giorno dopo, sono venute nel mio ufficio. Sono sicuro che è stato l’esercito. Perché la polizia in Messico è militarizzata. L’esercito ha usato una tattica militare. C’era polizia municipale, certo, civili, ma sono tutti militarizzati. Tutti gli agenti della regione vengono portati a fare corsi nella zona militare di Tlaxcala. E lì cosa c’è? Un centro di addestramento militare! Tutto questo show, l’arresto del sindaco come unico colpevole, è per sviare l’attenzione dall’esercito.” Secondo Gallardo la manovra eseguita a Iguala ha tutti i connotati delle azioni militari anti-guerriglia.
Durante la conferenza stampa il procuratore afferma che l’esercito non ha nulla a che vedere con i fatti di Iguala: “L’esercito si muove solo con ordini. Cosa sarebbe successo se fosse intervenuto? Chi avrebbe appoggiato? Ovviamente l’autorità, quindi meno male che non è intervenuto!”
Nelle scorse settimane, da molte fonti è stata ventilata l’ipotesi di una partecipazione dell’esercito nel senso di mancato intervento. Alcuni superstiti al massacro raccontano che l’esercito non è intervenuto in aiuto degli studenti benché ne fosse stato richiesto il soccorso.
“Incudine e martello”
Il generale Gallardo ha lettura dei fatti più inquietante. “No, non fu affatto omissione. Sono complici. Questa è la manovra che mi hanno raccontato: gli studenti generalmente prendono “in prestito” degli autobus. Non si dovrebbe fare, però lo fanno, prendono questo autobus e vanno verso Chilpancingo. La polizia, l’esercito e tutte le forze di sicurezza insieme li fermano e cominciano a sospingerli verso Iguala, per l’autostrada. Passano un ponte e c’è un posto di blocco della polizia federale. Cioè un posto di blocco militare camuffato da polizia, per essere precisi. Passano, li continuano a spingere finché arrivano a Iguala, dove li ferma un altro posto di blocco, di fronte alla caserma del 27° battaglione di fanteria, che sta proprio lì. Ed è lì che cominciano a sparare.”
Secondo il generale Gallardo si tratta della manovra conosciuta come “incudine e martello” che si usa nella guerra di guerriglia: “Quello che ferma è l’incudine, quello che colpisce è il martello. Lì gli studenti si sono detti, ah ci sono i militari, ci aiuteranno. Invece non li hanno aiutati. Sono andati all’ospedale feriti a chiedere aiuto, ma non li hanno soccorsi, nessuno li ha aiutati. Perché le forze di polizia e l’esercito si sono comportati così? Io dico perché hanno pensato che non sarebbe successo nulla. Un giovane di Ayotzinapa che era presente è venuto qui a raccontarmi: quando hanno fermato l’autobus è sceso un compagno a discutere con la polizia che ci stava fermando. Mentre discuteva ha ricevuto un proiettile in testa, da un cecchino.”
Jesús Moisés Gonzáles è un ex funzionario del Cisen, il servizio di intelligence messicano. Ora fa il consigliere politico di una senatrice. È sicuro che la responsabilità dei fatti di Iguala debba farsi risalire direttamente al presidente della Repubblica: “In Messico non c’è un solo autobus che viaggi su strade federali o statali senza che lo sappia il Cisen. Non esiste. Se un gruppo si muove in una certa regione il delegato di quello stato attraverso le subdelegazioni del Cisen è informato a Città del Messico in tempo reale: che traiettoria ha l’autobus, quanta gente viaggia al suo interno, se hanno striscioni e la targa del veicolo. Seguono gli autobus dal punto A al punto B, soprattutto se sono autobus rubati. Li si segue con auto e moto. Non è possibile che tutto quel traffico nel giorno della strage sia passato inosservato. Questo è la creazione di una favola”.
La miniera sul Balsas
Guerrero è uno stato che storicamente ha vissuto una repressione brutale da parte dello Stato. E per ironia della sorte, Iguala è il luogo in cui, nel 1821, Agustín de Iturbide dichiarava l’indipendenza del Messico attraverso il Plan de Iguala. Secondo statistiche pubbliche Guerrero è il secondo stato più povero del Messico, benché abbia enormi risorse naturali, tra cui miniere d’oro, argento, riserve boschive, acqua. E secondo il generale Gallardo, così come altri analisti, è proprio la presenza di queste risorse una delle ragioni di tanta violenza e repressione.
“La compagnia mineraria canadese Torex ha scoperto una miniera vicino al fiume Balsas, nella località di Quechultenango, a pochi chilometri da Chilpancingo” afferma Gallardo. In base a informazioni rese note dalla stessa Torex, pubblicate il 6 novembre sul quotidiano El Economista l’azienda investirà 725 milioni di dollari nei prossimi anni e si attende di ricavare solo da quella miniera 358000 once d’oro all’anno tra il 2017 e il 2024, per un totale di più di 10 tonnellate d’oro all’anno in 7 anni, con guadagni per quasi 3 miliardi di dollari.
“Però la gente del posto non lo permetterà” spiega Gallardo “È in questo contesto che vanno letti i fatti di Ayotzinapa. È una questione di risorse naturali. Ma chi favorisce questa politica violenta e militarizzata? Il presidente della Repubblica. Perché decidere che l’esercito continui a svolgere funzioni di polizia è lui. È la teoria del dominio di fatto”, la teoria giuridica attraverso la quale si può risalire dall’autore materiale all’autore intellettuale di un delitto, che è altrettanto responsabile, soprattutto dentro istituzioni gerarchiche, sia per azione (dando un ordine diretto) che per omissione (mancanza di supervisione o inazione).
La coppia imperiale
Nelle scorse settimane si è rinsaldata l’idea, sostenuta da tutti gli apparati dello Stato, che la “coppia imperiale”, Luis Abarca e sua moglie fossero gli unici responsabili morali del delitto di Iguala, dato che i fratelli di María de los Ángeles Pineda sono esponenti di spicco del gruppo dei Guerreros Unidos.
Secondo Jesús Moisés Gonzáles questo è impensabile, dato che a tutti i livelli di governo da molto tempo si sapeva della stretta relazione tra gli Abarca e il gruppo criminale e non si è fatto nulla per destituirli “La responsabilità cade direttamente sul presidente, poiché attraverso i suoi delegati del Cisen doveva aprire un file sulla famiglia Abarca. Le investigazioni si aprono quotidianamente in campagna elettorale. Ogni candidato ha il suo file aperto, si sa tutto, nome, cognome, organizzazioni di cui fa parte, cosa fa la moglie, la famiglia, i figli. Tutto. Il Cisen ha l’informazione completa da tempo, ancora prima che Abarca diventasse sindaco. Perché allora la Procura Generale e gli organismi di intelligence non hanno avvisato? E se lo hanno fatto, perché l’autorità, in questo caso il Ministro degli Interni Osorio Chong non ha dato le istruzioni per arrestare Abarca o per investigarlo più a fondo? Il problema è che il Ministro degli Interni risponde direttamente al signor presidente, che aveva tutte le informazioni necessarie per sapere chi fossero gli Abarca. Però ora tutti si dissociano”.
I familiari dei normalisti non accettano la versione ufficiale e continuano a richiedere l’assistenza tecnica internazionale, nell’ambito delle misure cautelari dettate il 3 ottobre dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, un meccanismo concreto che ha accettato lo stesso Peña Nieto. Le tre linee di assistenza tecnica internazionale sollecitate sono la ricerca in vita, l’identificazione dei cadaveri o dei resti ossei e l’investigazione politico criminale, per accertare i nessi tra governo (a tutti i livelli) e crimine organizzato.
Parte fondamentale in questo processo quindi l’hanno svolta i familiari, che, attraverso i loro rappresentanti, hanno informato sulle linee di ricerca, richiesto la partecipazione dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense (EAAF), esperta di casi di sparizione forzata. Ed è grazie al loro sforzo che sono riusciti a far leggere al presidente Peña Nieto una dichiarazione in cui si esige il rispetto della dignità delle scuole normali rurali e la formazione di una commissione mista per proseguire l’investigazione. Ma per il momento non è stato compiuto nessuno degli accordi presi con i familiari, e si è fatta passare l’idea che il caso sia chiuso.