Continuiamo con gli approfondimenti legati alla lotta dei maestri e delle maestre in Messico. Abbiamo intervistato Gustavo Esteva, tra i fondatori di UniTierra Oaxaca, e intellettuale libertario messicano.
Perché la lotta dei maestri e delle maestre della CNTE è così importante per gran parte della popolazione messicana tanto che in tanti solidarizzano?
Gustavo Esteva – È una lotta vecchia. I maestri di Oaxaca, come pure gli insegnanti di altri stati, Chiapas, Michoacán e Guerrero in particolare, hanno lottato contro la cosiddetta “Riforma Educativa”, che non considerano educativa, ma solo una riforma del lavoro, da diverso tempo. La “riforma” non solo minaccia i posti di lavoro, ma minaccia anche il diritto all’educazione, soprattutto nel caso delle comunità indigene. Nel corso degli ultimi cinque anni i maestri hanno lottato contro le disposizioni, e contro le autorità. I maestri di Oaxaca hanno creato un programma di trasformazione dell’istruzione. Sanno che ci sono problemi con l’educazione e hanno idee e proposte per risolverli. Hanno quindi preparato un programma e per questo vanno dicendo che “il governo non si sta occupando dell’educazione, ma di licenziare gli insegnanti e di chiudere le scuole.”
In questo momento, lo stato di Oaxaca è l’unico stato della Repubblica in cui non è stata applicata la riforma educativa, la nuova legge, per via della resistenza dei maestri e delle maestre. Il governo ha iniziato a fare pressione, in modo sempre più duro, contro gli insegnanti, mettendo alcuni maestri in carcere e minacciandoli in diversi modi: prima minacciandoli di riduzioni di salario per assenza per sciopero, poi hanno iniziato a ridurre gli stipendi di 1300 insegnanti arrivando a licenziarli senza alcun indennizzo.
Nel mese di maggio gli insegnanti hanno istituito un presidio nella piazza principale di Oaxaca per esprimere il loro malcontento, i loro reclami, per chiedere che venissero rilasciati i dirigenti della sezione 22 delle CNTE che erano stati messi in prigione per aver esercitato i propri diritti (arresti avvenuti il 12 giugno ndt). E hanno cominciato a minacciare sempre di più i maestri. Il 12 maggio, tre giorni prima dell’inizio dello sciopero senza fine, un gruppo proveniente dalle comunità indigene, un grande gruppo delle comunità indigene, è arrivato nella piazza di Oaxaca per sostenere la lotta dei maestri e spiegando direttamente il perchè: la nuova legge sull’istruzione prevede che, se un insegnante non ha almeno 30 studenti nella sua classe, non esiste la classe. In alcune scuole, soprattutto indigene, dove non hanno abbastanza studenti per formare una classe, si devono mettere insieme diversi studenti di diverse età – si chiama schema unitario – e così un unico maestro si occupa di sei classi, dal primo al sesto anno di scuola elementare. Con la nuova legge, per di più, se non si raggiungono almeno cinquanta studenti all’interno della scuola bisogna chiudere la scuola. Nelle comunità indigene ci sono molte scuole che si trovano in questa condizione.
La legge prevede di mandare i bambini alle denominate “scuole di concentramento”. Hanno usato questa espressione – come nei campi di concentramento – hanno usato l’espressione “scuole di concentramento”, dove i bambini provenienti da diverse comunità saranno concentrati. Per le comunità è estremamente grave, un po’ perché i bambini dovranno camminare o essere trasportati per diverse ore per andare a scuola, un po’ perché i bambini saranno sradicati e spostati dalla loro comunità. E, se i bambini perdono il contatto con la propria comunità, sarà la comunità stessa a rischiare di scomparire. Quindi i genitori, la gente, sente che questa è una minaccia. Non solo per i maestri, non solo perchéè si privano gli insegnanti dei diritti, ma per le comunità stesse, per la popolazione, e per i bambini delle popolazioni indigene. Quindi anche le comunità hanno iniziato a supportare i maestri e le maestri e così un certo numero di genitori, una serie di comunità, si sono uniti alla lotta.
Vorrei dire un’altra cosa: dopo gli avvenimenti di Nochixtlán, di cui se vuoi possiamo parlare, non più solo le comunità indigene in difesa della scuola, non più solo la lotta dei maestri c’è stata una grande esplosione di malcontento.
Tutto questo avviene dieci anni dopo quello che è successo nel 2006, quando è nata la APPO (Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca). C’è un collegamento? C’è una relazione tra la resistenza dei maestri della città di Oaxaca e la APPO di dieci anni fa?
Gustavo Esteva – In realtà sì, è un collegamento piuttosto chiaro. Sembra che le autorità, il governo, abbiano seguito un copione, un copione teatrale, ripetendo ciascuna delle fasi di dieci anni fa: e’ cominciata la mobilitazione dei maestri, poi è nato il presidio in centro città, quindi è iniziata una campagna mediatica molto aggressiva contro gli insegnanti. Come dieci anni fa, e così come allora è arrivata la repressione. Questo è il copione di dieci anni fa. Quello che succede è che la società, i gruppi, le persone, la gente come noi a Oaxaca, ha imparato dall’esperienza di dieci anni fa, abbiamo capito che all’epoca avevamo fatto molti errori. Abbiamo cercato di imparare, di trarre degli insegnamenti da questi errori e, infine, di agire con cognizione di causa, ricordando quegli errori.
Per fare un esempio: per la prima volta, da altre tre mesi, i maestri, e la CNTE hanno cercato il dialogo con la società civile. Da tre mesi ci sono incontri con oltre un centinaio di organizzazioni della società civile che parlano con i dirigenti della Sezione 22 per discutere della strategia e della lotta. Questa è una novità, è qualcosa che non era successo prima. È il risultato delle lezioni di dieci anni fa. Inoltre il 14 giugno, l’anniversario dello sgombero dei maestri nel 2006, abbiamo organizzato un grande evento politico-culturale nel Zócalo di Oaxaca insieme ai maestri accampati, per commemorare, per ricordare ciò che è accaduto e trarne delle lezioni.
Da parte del governo, sembra che l’unica cosa che rimane del 2006 è la confusione dalla Corte Suprema. Nel 2007 la Corte Suprema nominó una commissione di indagine, riconoscendo la violazione dei diritti, delle garanzie individuali,riconoscendo che vi fu eccessivo uso di forza. Il problema è che, un anno dopo, quando la commissione d’inchiesta ha presentato la sua relazione la Corte Suprema ha pronunciato la sentenza , premetto che si tratta di un fatto orrendo e terribile, dichiarando che il governo poteva violare i diritti umani, che poteva violare le garanzie individuali, che poteva fare tutto ciò che ha fatto, l’errore era legato ai tempi d’intervento e l’intervenuto era arrivato troppo tardi e che la forza pubblica utilizzata era stata insufficiente.
Quindi, ciò che fa oggi il governo messicano è intervenire presto e con una forza maggiore. Ha iniziato con 28’000 poliziotti che sono stati aumentati nell’ultimo periodo. Si tratta anche di forze speciali e letali. Uso queste parole con rigore: vengono per uccidere. Potete vedere i video su Facebook, le foto in cui si vede la polizia militare inginocchiata prendendo la mira con il fucile per sparare con precisione contro la popolazione. Non sparano nel mezzo dello scontro, non sono nel mezzo della rivolta, non è un colpo sparato per caso, non è uno sparo scappato a un poliziotto. Sono venuti con l’ordine di usare la forza per uccidere. Così hanno ucciso diverse persone. I morti non sono casuali: sono stati uccisi alcuni giovani leader delle mobilitazioni.
Questo è che ha imparato il governo rispetto a dieci anni fa: usare più forza pubblica, in numero ma anche in “qualità”. Usare così corpi scelti e usarli il prima possibile.
Che ruolo pensi abbia la strage di Nochixtlán per Oaxaca, per il Messico intero e per la lotta della CNTE?
Gustavo Esteva – La strage di Nochixtlán per spiegarla occorre partire dal contesto: era il 14 giugno, molti di noi erano nello Zócalo della città di Juarez de Oaxaca per la commemorazione dell’anniversario dello sgombero della CNTE del 2006. La popolazione di Nochixtlán sapeva che eravamo riuniti. Anche loro a Nochixtlán, stavano facendo una commemorazione. Hanno visto 14 camion, pieni di poliziotti, fermi. Convinti che quel contingente fosse diretto nella capitale, verso di noi, hanno deciso di bloccare la strada in modo da non farli passare. Si è sparsa subito la voce e sono arrivate persone da molti villaggi e comunità vicini a Nochixtlán per aiutare a bloccare la polizia, per impedire che la polizia riuscisse ad arrivare a Oaxaca città e attaccare nuovamente il presidio dei maestri delle maestre. Il clima di tensione era iniziato diversi giorni prima. Il 14 giugno era un martedì, e stavamo facendo questa commemorazione. I continui blocchi stradali hanno continuato a scaldare il clima. Il governo ha così organizzato l’attacco a Nochixtlan per la domenica successiva, domenica 19 giugno. Nove morti, 23 dispersi, 45 persone in ospedale e un centinaio di feriti altri. La popolazione di Nochixtlán non era armata, chi stava lottando con la polizia voglio dire non era armata. Bloccavano la strada, avevano pietre e bastoni, non erano organizzati per uno scontro armato, sono stati letteralmente assassinati e attaccati dalla polizia. Che poi ha dichiarato di essere intervenuta così perché erano a conoscenza di manifestanti armati. Ma non è vero.
L’attacco omicida della polizia e del governo ha provocato una reazione di indignazione da parte di molte persone, a Oaxaca e nel resto del paese. E del mondo. Le autorità hanno persino negato di essere arrivate armate, hanno detto che erano stati dei provocatori, dei gruppi esterni a sparare. Dicevano che non c’erano maestri tra i nove morti. Ed è vero, non erano insegnanti, era il popolo. Ma dicevano questo per giustificare l’azione armata contro un gruppo di violenti non la lotta dei maestri. Subito però sono circolate su Facebook le immagini di poliziotti con armi in mano in posizione di sparo. Immagini che smentivano chiaramente le parole ufficiali. L’ondata d’indignazione è salita più forte. Così la settimana seguente, nello stato di Oaxaca, si sono moltiplicati gli incontri tra differenti settori di popolazione, produttori di mais, produttori di altre cose, contadini, persone provenienti da situazione molto diverse e che sono insorti per sostenere i maestri dicendo: “non può essere. É vero, noi ci mobilitiamo in solidarietà degli insegnanti, ma non solo, anche per noi stessi. Il governo ci ha attaccato e ha fatto cose terribili. Vogliono imporci anche gli OGM e vogliono fare molte cose contro la nostra gente, contro il nostro mais”.
Si tratta di una lotta che include la lotta degli insegnanti, ma che include anche molte altre lotte ed è una massiccia espressione di malcontento. Ha uno stretto legale con la vicenda di Ayotzinapa. 43 giovani studenti fatti sparire due anni fa. Un crimine che non è ancora stato chiarito, un crimine che ha evidenziato che in Messico non è più possibile tracciare una linea che separa il mondo del crimine e il mondo delle istituzioni. Narcos e potere politico sono la stessa cosa. Non sono cartelli di criminali che aggrediscono o temono il potere, ma criminali, poliziotti e governanti sono la stessa cosa. È tutto legato, e ci sono già molte prove pubbliche. Ciò che accade attorno alla lotta delle CNTE è quindi espressione di un enorme malcontento, di una grande indignazione nei confronti di un governo sempre più autoritario, sempre più cieco e sempre più incompetente. La cosiddetta Riforma Educativa, che è una riforma del lavoro, non si applica solo in Messico. E’ uguale o simile a quelle che si stanno facendo, o si sono fatte, negli Stati Uniti, in Francia, in Cile, in Colombia, in Brasile. Qui è stato fatto con più incompetenza, e con più autoritarismo.
Come si può riassumere il Messico di Enrique Peña Nieto dopo tre anni? Qui abbiamo visto che c’è stato il tentativo di questa riforma educativa, della riforma energetica, della riforma delle spiagge,… ci sono un sacco di riforme che privano dei diritti collettivi e aumentano l’insicurezza che le persone vivono in strada e non solo. È un punto di vista che non ha senso o è una parte di quel che è il Messico tre anni dopo Enrique Peña Nieto e il PRI?
Gustavo Esteva – É evidente che quello che stanno facendo è vendere il paese. Si stima che circa il 40% del territorio messicano sia stato dato in concessioni per 50 anni ad aziende transnazionali. Lo Stato è così obbligato a ripulire i territori per consegnarli pacificati alle aziende. Attacca il popolo e le comunità, colpisce chi difende le proprie terre, e chi sta difendendo i propri diritti, sta difendendo i propri territori. Lo scontro è sempre più violento. Stanno organizzando la depredazione delle ricchezze collettive in maniera massiccia e si manifesta in diversi modi: espropriare miniere, occupare le città, privare le persone dei loro salari, dei loro posti di lavoro, ecc ecc ecc. La gente però sta resistendo. La democrazia è una copertura che impedisce il saccheggio, così come lo stato di diritto è un freno che limita la depredazione. Così si mette da parte la democrazia e si mette da parte lo stato di diritto per poter procedere al saccheggio.
Vorrei sottolineare che questa fase del sistema economico mondiale non possiamo più chiamarla semplicamente capitalismo, perché il capitalismo è un modo di produzione basato sulla forza di lavoro. La forma di accumulazione alla quale stiamo assistendo, non si basa più sulla forza lavoro, e nemmeno sulla produzione. Quindi non so se possiamo chiamarlo semplicemente capitalismo, perché qui assistiamo a un’accumulazione selvaggia di ricchezza basata sul saccheggio, sul furto, sullo spostamento forzato di persone. Si condanna la popolazione a morire di fame e alla disperazione o la si obbliga a lasciare il paese. Forse la dimostrazione più grave di tutto quel che accade in Messico è che il 37% dei messicani che vivono fuori dal paese, non se ne sono andati alla ricerca di un sogno, ma se ne sono andati perché non si sentono sicuri e non possono vivere con una tale violenza criminale da parte dello Stato.
Al quarto anno, Peña Nieto raggiunge i livelli più bassi di popolarità di un presidente, nonostante abbia speso una quantità enorme in pubblicità e propaganda. L’anno scorso, nel 2015, ha speso 11 milioni di pesos al giorno in comunicazione e propaganda, ma non riesce, neppure con tutto ciò, in nessun modo, ad esaltare la sua figura di presidente e a raggiungere legittimità e accettazione popolare. Ciò che ottiene sono rifiuto e profonda insoddisfazione.
Vorrei sottolineare una cosa, la situazione è particolarmente delicata ed estremamente tesa. Molti dei demoni sono liberi. Direi che non è possibile prevedere cosa accadrà. Chi dice di sapere cosa accadrà, non ha nessuna informazione. Non sappiamo cosa succederà. Si tratta di una situazione difficile, molto difficile, di un momento pericoloso per tutti e di un momento in cui si consacra l’incompetenza, la devozione e la subordinazione del governo al capitale e, fondamentalmente, al capitale transnazionale.