By Giampa
La storia è rossa.
Il 2 ottobre è una data cruciale in Messico, ricorre il massacro di piazza delle Tre Culture del 1968. Più di 300 studenti uccisi dal fuoco dei militari durante una manifestazione contro la repressione dello stato che aveva mandato i soldati a occupare l’Università principale di Città del Messico.
Sono passati 51 anni, ma la ferita è tutt’altro che chiusa. Una settimana prima della ricorrenza sono iniziate le occupazioni e le assemblee del movimento studentesco. Si è arrivati alla fatidica data con 27 scuole e facoltà occupate. Gli studenti continuano a morire. 5 anni fa i 43 normalistas di Ayotzinapa vennero fatti sparire dallo stato e i colpevoli rimangono ancora oggi impuniti. Fuori alle facoltà occupate, nella metropolitana e nelle strade la folla di studenti e studentesse grida con rabbia ‘porque nos asesinan si somos la esperanza de America Latina’. Ragazzi e ragazze molto giovani con il paliacate sul volto e il pañuelo verde legato allo zaino. I cori ricordano i caduti e si grida la promessa che le pallottole sparate ritorneranno e che i compagni uccisi continueranno a vivere. Le studentesse sono le più agguerrite, sono la maggioranza tra chi incolla manifesti e scrive sui muri Ní Perdon Ní Olvido. In piazza delle Tre Culture si riuniscono i vari contingenti delle scuole e delle facoltà di tutto il paese. Il fiume di persone rende impossibile vederne l’inizio e la fine. Più di cento mila manifestanti. Ai lati del percorso vi sono delle catene umane di persone vestite di bianco. Sono la tanto discussa e annunciata Cinturón de la Paz. Una novità introdotta dalla sindaca di Città del Messico Claudia Sheinbaum per scongiurare i danni durante la manifestazione. Migliaia di militanti del partito di Morena e di impiegati pubblici hanno frapposto i loro corpi tra gli studenti e le vie laterali dove era posizionata la polizia in assetto antisommossa. Il fiume di manifestanti ha proseguito la sua marcia colorata ed agguerrita fino allo Zocalo.
Tra i tanti slogan era frequente quello indirizzato proprio verso i Cinturón de la Paz che venivano identificati come traditori: voi vestiti di bianco ma la storia è rossa! Ci sono stati solo pochi momenti di tensione quando il blocco degli anarchici ha cercato il contatto con la polizia e ha distrutto alcune vetrine spaventando gli ‘Obradoristi’ in maglia bianca che sono scappati o si sono tolti la maglietta per non farsi riconoscere. Le delegazioni di studenti e studentesse hanno mantenuto l’ordine rimarcando la loro estraneità alle azioni dei manifestanti bardati di nero ma senza creare ulteriori tensioni. Il corteo ha continuato a sfilare pacificamente fino alla piazza dello Zocalo dove dal palco hanno parlato i vari rappresentanti delle diverse delegazioni. Si è conclusa una settimana di lotta dedicata alla memoria. La memoria che è ancora viva e che si intreccia con il ricordo delle vittime degli ultimi anni. La conta da 1 a 43 per chiedere giustizia per gli studenti di Ayotzinapa e i cartelli che ricordano le vittime della violenza di genere ne sono una prova. Fra pochi giorni, il 12 ottobre, sarà, invece, giornata di lotta in ricordi di Samir Flores. Contadino e attivista in difesa della terra. Ucciso a poche settimane dall’inizio della presidenza di AMLO perché si opponeva ai megaprogetti che minacciano la salute e la vita delle comunità dello stato di Morelos. Prima fra tutti la centrale termoelettrica che negli anni precedenti l’attuale presidente Obrador aveva scomunicato, affermando che nessuno sano di mente avrebbe potuto appoggiare tale progetto. Un anno di governo ha dimostrato che la tanto attesa fine del neoliberismo era una promessa da campagna elettorale. I megaprogetti come la centrale termoelettrica, il tren maya e il corridoio trans-istmico si faranno a tutti i costi, anche se quei costi significano aggiungere altri nomi sulla lista degli attivisti assassinati.