Venerdì è finita la prima parte del Festival delle Co-Scienze per l’umanità. Qui nell’Università della Terra i primi cinque giorni sono volati. Ci si abitua in fretta a questo mondo inventato nella periferia di San Cristobal de las Casas. I taxi percorrono gli ultimi cento metri di strada sterrata per lasciare professoresse e professori, ricercatrici e ricercatori delle migliori Università del Messico, dell’America Latina, e del Mondo.
Atterrano anche loro in questo universo per parlare di Matematica, Microbiologia, Astrofisica.
Sono state/i invitate/i a portare l’accademia al servizio delle popolazioni originarie del Chiapas. Il loro pubblico è composto da 200 studentesse/studenti incappucciate/i che rappresentano le comunità autonome zapatiste. Il loro passamontagna nero ci ricorda che non siamo a un convegno dove la scienza viene messa in discussione per moda e per modo di dire. Ci ricorda che poco più di vent’anni fà le loro comunità hanno preso le armi per difendere la loro libertà e la sovranità sul loro territorio. Ci ricorda che il mondo che inizia dopo quei cento metri di strade sterrate li considera ancora membri di un’organizzazione “terrorista” (diciamo più che altro nemico del Messico e anti-messicani oltre che responsabili della turbativa dell’ordine). Non è un caso che molte/i delle/dei relatrici/relatori, abituati a parlare nelle facoltà prestigiose d’Europa o del Nord America, esprimano la loro emozione nel presentarsi davanti alle/agli indigene/i libere/i delle comunità. I temi che vengono snocciolati vanno dalla medicina oncologica alla fisica quantistica, dall’accelerazione di un corpo all’evoluzione dei primati. Alcuni hanno titoli più bizzarri: ‘Anarchia oscura’, ‘Matematica emozionale’, ‘Corso di robotica per incappucciate/i’. Ma più che dei temi scientifici quello di cui si parla è del lavoro degli scienziati: l’atomizzazione del sapere, i tagli alla ricerca, l’influenza dell’economia, la subordinazione delle università al mercato, l’accesso libero alle pubblicazioni, il sessismo, omofobia, razzismo, classismo del mondo accademico. Ma gli incappucciati non sono arrivati impreparati. Hanno portato una lista di domande per le scienziate e gli scienziati. Alcune sono molto semplici, chiedono la spiegazione di alcuni fenomeni o il funzionamento di alcuni strumenti tecnologici: ‘Come si spiega scientificamente come si forma l’arcobaleno, perché si dice che ha 7 colori e quale è la sua funzione?’, ‘Scientificamente, a che altezza minima e massima vola un aeroplano a differenza di un elicottero?’. Altre sono più politiche, toccano temi controversi che generano divergenze nella comunità scientifica e lotte politiche nella società: gli OGM, il buco nell’ozono, la sostituzione degli idrocarburi. Altre ancora chiedono una spiegazione a fenomeni ‘paranormali’, credenze e tradizioni: ‘Scientificamente si può provare che esiste del soprannaturale nelle persone o in alcune persone?’ Ha qualche spiegazione scientifica il fatto che quando sogniamo qualcosa, poi si realizza nella realtà?’
‘Esiste o c’è una spiegazione attraverso lo studio scientifico della telepatia? Se queste ultime possono dare in un primo momento l’immagine di una cultura attaccata alle interpretazioni della magia più che a quelle della ragione scientifica, in realtà simboleggiano esattamente una tendenza inversa. Come spiega con chiarezza il SubComandante Galeano, come rappresentante dell’EZLN, le zapatiste e gli zapatisti hanno fame di scienze ‘vere’. Le compagne zapatiste spesso sanno usare Linux, Windows e iOS, parlano più lingue e usano internet. A volte sono loro a spiegare ai promotori di salute pubblica mandati dal governo che le convulsioni non sono causate da stregoneria ma da attacchi di epilessia. In uno dei suoi discorsi, Galeano, mette in guardia dalle “pesudo-scienze o scienze false che non solo guadagnano sempre più followers, ma stanno già diventando una spiegazione accettata della realtà”. Una delle relatrici inizia il suo intervento riconoscendo che “forse gli zapatisti hanno più fiducia nella scienza che gli stessi scienziati”. L’autocritica che mettono in campo le ricercatrici e i ricercatori è molto interessante. “Se nel ‘900 fare scienza era sinonimo di produzione di conoscimento, sapere, di persone libere e dotate di senso critico”, spiega un professore, oggi si è passati ad una scienza che soddisfa le richieste del mercato e che si impegna a produrre saperi monetizzabili e capaci di generare profitti. E ancora una volta le zapatiste non mancano di mettere a nudo le contraddizioni. Sottolineando i danni causati da uno sviluppo tecnologico sfrenato, la distruzione di culture, paesaggi e vite umane perpetrata in nome del ‘progresso’. Pretendendo una riflessione sull’etica, gli obbiettivi e le finalità del lavoro scientifico. Evidenziando la facilità con cui la scienza possa trasformarsi in uno strumento di repressione nelle mani del capitalismo, invece che di emancipazione e indipendenza dei più deboli. Che metta in discussione lo stato delle cose e che non giustifichi tutto con un vuoto e sterile “scientificamente provato”. Durante un intervento, il SubComandante Galeano, legge un racconto ambientato durante una partita di calcio nelle comunità autonome. Una bambina zapatista si trova a calciare un rigore decisivo allo scadere del tempo regolamentare. Il suo avversario è convinto di intercettare il tiro perchè sà che la ragazzina tirerà in basso a sinistra (essendo una bambina zapatista). Quello che non ha calcolato è che il suo in basso a sinistra non è lo stesso della bambina che ha di fronte. Il portiere viene così beffato e la palla finisce in rete. Il messaggio nemmeno tanto implicito di questa favola, è che nemmeno l’in basso a sinistra, lo stare con i più deboli in una prospettiva di lotta, è uguale per tutte e tutti. Lottare dal basso e da sinistra per un ricercatore bianco ed europeo può non voler dire lo stesso che per una bambina, indigena e latinoamericana. E lo stesso vale per la ricerca scientifica. Non è una scienza qualsiasi quella che chiedono le zapatiste e gli zapatisti, ma che risponda alle esigenze reali delle comunità invece che delle tendenze del mercato finanziario. Una scienza capace di far emergere le contraddizioni e non di appianarle. Una scienza come strumento di lotta e non come dispositivo di controllo. Una scienza vera e non mistificatrice, che stia dalla parte di chi lotta dal basso e a sinistra.